mercoledì 14 novembre 2012

Sfondiamo Porte Aperte

Diciamo che:
1- La lingua, parlata e scritta, serve per comunicare.
2- La grammatica è il codice che prescrive le regole linguistiche delle trasmissioni interpersonali orali e scritte.
3- I codici grammaticali guidano la lingua verso il raggiungimento del massimo di efficacia comunicativa.
 Dato che questi tre enunciati sono lapalissianamente indiscutibili, risulta chiaro che chi chiama una donna "il ministro", "il direttore", "l'avvocato" trasmette una comunciazione falsa.
Chi dice "il ministro Cancellieri" nomina una persona di sesso maschile; se poi Cancellieri è donna, vuol dire che la dizione è sbagliata e chi l'ha trasmessa ha detto il falso.
I mass media italiani sono farciti di questi incredibili qui pro quo. Perchè?
Da tempo, osservando i comportamenti linguistici degli italiani, abbiamo potuto evidenziare soprattutto due modi di risolvere il passaggio dei nomi o sostantivi maschili verso il femminile.
Moltissimi parlanti e scriventi, invece di applicare semplicemente le regole grammaticali, si avventurano nei seguenti due vicoli ciechi.
1- Si rifiutano di fare il femminile con la "a" finale al posto della "o".
Per esempio:
avvocato ---> avvocata
maresciallo ---> marescialla
meccanico ---> meccanica
2- Ricorrono alla finale in "ssa" come se questa soluzione fosse il toccasana universale.
La proliferazione dei femminili in "ssa" denuncia una "quasi ossessione" degli italiani.
Per esempio:
vigilessa anzichè vigile
soldatessa anzichè soldata
diavolessa anzichè diavola

Ambizione di chi scrive queste note è quella di aiutare i connazionali a non complicarsi la vita quando parlano o scrivono.
Segnatamente, quando si trovano davanti alla formazione del femminile.

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